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I sassi della stazione sono di ruggine nera, sto sotto la pensilina, dove sventola adagio una bandiera. In un campo una donna si china su due agnelli appena nati, striscia al vento nudo sopra il fuoco, il fuoco violento dei prati. Un uccello isolato raccoglie, sopra un vagone abbandonato, il cielo grande di ottobre e gli strappa il fianco bianco e gelato. Intorno, dopo la notte, ci sono tronchi sporchi di mosto e mille macchine in fila laggiù, in un deposito nascosto. Apro il giornale e provo a leggere, per nascondermi un poco, mentre lei parla ad un uomo e io riconosco il suo suono un poco roco. Chiudo il giornale, la guardo, lei è voltata non mi vede, i capelli sono biondi e sono tinti, dunque lei alla vita non cede. Vuoi guardarmi? Occhio della mente, occhio della memoria, una donna è vecchia quando non ha più giovinezza e ascolto la marea del cuore, perché siamo vicini. L'ho ritrovata per caso, ma non è più una ragazza, vorrei chiamarla, dirle che le volpi, con le code incendiate, non parlano, ma gridano pazze, fra gli alberi per il dolore. Sediamoci per terra, oppure là, sopra panchine imbiancate, sediamoci sopra un letto di foglie secche e ascoltiamo il nostro cuore, ci siamo scordati e perduti, ti ritrovo adesso all'improvviso, dentro una piccola stazione, in un giorno grigio d'ottobre, tu non mi guardi neppure, io solo ho l'inferno nel cuore, perchè la vita è una goccia che scava la pietra del viso. Ogni mattina, ogni sera, io parto e ritorno da solo, come il ragazzo che ero, non posso più bruciare in un volo, il treno arriva si ferma, la mia ombra sale, parte, scompare, io ti vedo giovane ancora, come in un sogno dileguare. |
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